Op. “Nebrodi 2”: Ordinanza di custodia cautelare per Salvatore Bontempo Scavo annullata, con rinvio, dalla Cassazione. LE MOTIVAZIONI

Solo Gl Press, lo scorso 13 luglio, ha pubblicato la notizia inerente l’annullamento, con rinvio, disposto dalla Cassazione, dell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di SALVATORE BONTEMPO SCAVO, di Tortorici, arrestato lo scorso 6 febbraio nell’ambito dell’operazione “Nebrodi 2”. Adesso pubblichiamo, in esclusiva, LE MOTIVAZIONI della decisione della Suprema Corte che ha rimandato gli atti al Tribunale del Riesame di Messina. Bontempo Scavo Salvatore, dottore in giurisprudenza (foto in alto il giorno della laurea all’Università di Messina), incensurato e risarcito in passato per ingiusta detenzione, è difeso dagli avvocati CARLO MARCHIOLO (foro di Roma) e DECIMO LO PRESTI (foro di Patti). Il servizio sul link Cronaca…

GIUSEPPE LAZZARO

Sono state depositate le motivazioni con le quali la VI Sezione Penale della Corte di Cassazione (presidente Emilia Anna Giordano, relatore Pietro Silvestri), lo scorso 12 luglio, ha annullato con rinvio, per carenza di motivazione in ordine al quadro indiziario, l’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Salvatore Bontempo Scavo, di Tortorici, dottore in giurisprudenza, incensurato, imprenditore, già risarcito in passato per ingiusta detenzione. L’uomo è stato arrestato, il 6 febbraio scorso, nell’ambito dell’operazione “Nebrodi 2” e si trova ristretto nel carcere di Voghera.

Secondo le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Carmelo Barbagiovanni e Giuseppe Marino Gambazza, il Bontempo Scavo Salvatore sarebbe il presunto capo dell’omonima cosca ma, appunto, solo sulla base delle dichiarazioni di due pentiti e senza alcun quadro indiziario o probatorio diverso e tale da suffragare o confermare questa ipotesi. E, infatti, dopo la conferma dell’ordinanza da parte del Tribunale del Riesame di Messina tempo addietro, i legali di fiducia dell’indagato, avvocato Carlo Marchiolo, del foro di Roma e Decimo Lo Presti, del foro di Patti, sono ricorsi in Cassazione vedendo accolta la loro richiesta. La Suprema Corte ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare e ha rinviato gli atti per un nuovo esame davanti al Tribunale del Riesame di Messina.

LE MOTIVAZIONI

Sul ricorso proposto da Bontempo Scavo Salvatore, nato a Tortorici il 06/03/1967 avverso l’ordinanza emessa il 9/02/2024 dal Tribunale di Messina; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;  udita la relazione svolta dal Consigliere Pietro Silvestri;

udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, dott.ssa Cristina Marzagalli, che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile; udite le conclusioni degli Avv.ti Carlo Marchiolo e Decimo Lo Presti, difensori di fiducia dell’indagato, che hanno insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Messina ha confermato l’ordinanza con cui è stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Bontempo Scavo Salvatore, ritenuto gravemente indiziato del reato di associazione mafiosa – con ruolo apicale- quanto alla famiglia mafiosa dei tortoriciani, nonché di una serie di reati – fine di truffa e falsi in atto pubblico, tutti aggravati ai sensi dell’art. 416 bis.1 cod. pen.

2. Ha proposto ricorso per cassazione l’indagato articolando quattro motivi.

Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di gravità indiziaria per il reato associativo (fatto contestato dal 2011 al 2019). Sotto un primo profilo, il Tribunale avrebbe errato nel ritenere irrilevanti le sentenze di assoluzione pronunciate nei riguardi del ricorrente nei procedimenti cd. “Mare Nostrum” (condotta tra il 1990 e il 6 novembre 1995) e “Icaro /Romanza” (condotta tra il 25 marzo 2003 e il 22 marzo 2007) in relazione ai relativi periodo di contestazione riguardanti la ritenuta partecipazione alla consorteria c.d. dei Bontempo Scavo, nonché la circostanza che, nell’ambito delle successive indagini riguardanti il clan Bontempo Scavo, l’odierno ricorrente non sarebbe mai stato interessato. Né si sarebbe tenuto conto della revoca intervenuta in data 13 settembre 2023 del provvedimento di interdittiva antimafia emesso dal Prefetto di Messina nei riguardi della impresa dell’indagato.

Tali emergenze fattuali contrasterebbero con il ragionamento probatorio e con le conclusioni cui è giunto il Tribunale di Messina che, da una parte, non avrebbe considerato le sentenze in questione e, dall’altra, avrebbe invece erroneamente valorizzato il coinvolgimento dell’indagato “nella risoluzione di importanti dinamiche associative” in un contesto di mafia storica, nonchè la perdurante operatività del sodalizio in relazione alle truffe ai danni dell’Agea, collocate temporalmente nel 2021. Si sottolinea che l’esistenza di mafie c.d. storiche non esimerebbe comunque dall’onere di motivazione quanto alla prova della partecipazione, tenuto conto che il collaboratore Barbagiovanni non avrebbe menzionato l’indagato tra i partecipi e il collaboratore Gammazza avrebbe riferito che nel 2018 al vertice del gruppo vi sarebbe stato tale Nino Foraci (che si trova al carcere duro con 17 anni da scontare a seguito dell’operazione “Senza tregua” del maggio 2016 ndr).

Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di gravità indiziaria per il reato di partecipazione all’associazione. Vengono richiamati i principi affermati dalle Sezioni unite con la sentenza Modaffari e si assume che detti principi sarebbero stati nella specie violati.

Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di gravità indiziaria per il reato di partecipazione all’associazione; il tema attiene alla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e ai c.d. riscontri esterni. Nulla sarebbe stato affermato in ordine alla appartenenza dei dichiaranti ad una  famiglia contrapposta- quella dei Batanesi- e ai profili di conoscenza dei collaboratori Carmelo Barbagiovanni, Giuseppe Marino Gambazza, Salvatore Costanzo Zammataro e Salvatore Micale.

Le deduzioni difensive avrebbero preso le mosse dagli esiti ricavabili dalla sentenza della Corte di Cassazione, dalla conseguente ordinanza del Tribunale del Riesame e dalla sentenza pronunciata dal Tribunale di Patti nel processo c.d. “Nebrodi” nei confronti di altri imputati che avrebbero chiarito i limiti strutturali delle dichiarazioni dei collaboratori con riguardo alla ricostruzione della compagine associativa dei c.d. Bontempo Scavo.

Il Tribunale del Riesame, in particolare, non avrebbe fatto riferimento e valutato la sentenza del Tribunale di Patti nella parte in cui si è esclusa, per i soggetti per i quali si è proceduto separatamente, la partecipazione di detti soggetti al clan Bontempo Scavo e, soprattutto, nella parte in cui le condotte di partecipazione mafiosa contestate ai vari imputati sono state riqualificate in termini di partecipazione ad associazione per delinquere. Il tema sarebbe legato alla reale consistenza e all’autonomia/originarietà delle dichiarazioni dei collaboratori.

Ci si riferisce alle dichiarazioni di Carmelo Barbagiovanni che nel 2020 ha fatto riferimento alla condotta apicale del ricorrente per avere appreso ciò da Vincenzo Galati Giordano e da Sebastiano Bontempo: il primo nel 2017 avrebbe confidato al collaboratore di giustizia della operatività dell’odierno indagato. Barbagiovanni avrebbe inoltre appreso da tale Sebastiano Armeli, nel 2014, della operatività del ricorrente nel settore delle truffe Agea e da tale Siracusa di un interessamento dell’indagato nel 2017 per risolvere una questione sorta in ambito estorsivo in relazione alla gestione di terreni e alle truffe inerenti i braccianti agricoli; Barbagiovanni avrebbe poi definito il ricorrente il capo della famiglia mafiosa fino al 2019.

Il Tribunale non avrebbe tenuto conto che lo stesso collaboratore nel verbale del 26 febbraio 2020 non aveva indicato il ricorrente tra i partecipi del gruppo, del quale, secondo lo stesso, sarebbe stato capo tale Giglia (si tratta di Salvatore Giglia, di Sinagra ndr); il dichiarante, inoltre, avrebbe indicato i nomi dei partecipi alle truffe e non avrebbe menzionato il ricorrente. In tal senso vengono poi riportate le dichiarazioni del collaboratore di giustizia in esame rese nel procedimento definito con sentenza dal Tribunale di Patti e l’assunto è che la conoscenza del collaboratore sarebbe stata indiretta e circoscritta temporalmente.

Anche quanto alle dichiarazioni rese da Marino Gammazza, altro collaboratore di giustizia, il Tribunale non avrebbe fatto corretta applicazione dei principi di diritto in tema di valutazione della prova dichiarativa. Vengono riportate parte delle dichiarazioni da cui emergerebbe una conoscenza dei fatti anche in questo caso limitata nel tempo – non oltre il 2007 – e carente sotto il profilo della coerenza e dell’autonomia; un narrato, peraltro, in parte contrastante con quello di Barbagiovanni. Si sottolinea come lo stesso collaboratore, nel verbale del 11.9.2020, nell’indicare i componenti del gruppo dei Bontenpo Scavo, avrebbe riferito che al vertice del gruppo si sarebbe trovato Nino Foraci. Su tali profili la motivazione sarebbe carente.

Anche con riguardo alle dichiarazioni del collaboratore Salvatore Micale la sentenza sarebbe viziata; questi, infatti, avrebbe appreso alcune circostanze da Barbagiovanni e da Marino.

Con il quarto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di gravità indiziaria per i reati di truffa (capi 20- 20 bis- 21-22-22 bis- 23- 23 bis- 24- 24 bis).

Il Tribunale non avrebbe fornito risposte alle numerose deduzioni difensive relative, relative in particolare: a) alla inesistenza di movimentazione economica-finanziaria volta a comprovare la riferibilità sostanziale all’indagato di accrediti; b) alla legittimità delle domande – finalizzate ad ottenere i pagamenti dalla Agea – predisposte prima del 2016 (vi è un lunga ricostruzione che, in chiave difensiva, valorizza una circolare della Agea che solo nel 2016 aveva chiarito come, ai fini della liceità della domanda unica di pagamento, fosse necessaria la sentenza dichiarativa dell’usucapione del fondo da parte del venditore); c) alla circostanza che la signora Luisa Germanà aveva sempre presentato domanda di contribuzione Agea così come aveva fatto il marito, cioè l’odierno ricorrente, fino a quando era intervenuta l’interdittiva antimafia, di recente annullata; d) alle spiegazioni fornite dall’indagato in sede di interrogatorio in relazione alla riferibilità di un unico codice aziendale a tre distinte imprese.

Anche in ordine a tali profili la motivazione sarebbe viziata. Sono stati presentati motivi nuovi con cui si riprendono e sviluppano ulteriormente gli argomenti posti a fondamento dei motivi di ricorso

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. Quanto al reato associativo, contestato dal 2011 al 2019, il giudizio di gravità indiziaria è stato formulato sulla base delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Carmelo Barbagiovanni, Marino Gammazza Giuseppe, Micale Salvatore, riportate nella ordinanza impugnata e obiettivamente valutate sotto il profilo della credibilità soggettiva e dalla attendibilità intrinseca del dichiarato.

In tale contesto il Tribunale, a pag. 21 della ordinanza impugnata, ha inoltre fatto riferimento alla memoria difensiva prodotta dal ricorrente, spiegando come con essa si fosse fatto riferimento alle posizioni processuali di alcuni soggetti, facenti capo a Faranda Aurelio Salvatore, giudicati nel separato processo in quanto anch’essi ritenuti  partecipi all’associazione mafiosa “dei Bontempo Scavo” e di una “serie innumerevole di truffe ai danni dell’Agea, contestate, queste ultime, commesse al fine di agevolare il suddetto sodalizio mafioso” (così testualmente il Tribunale).

Il Tribunale del Riesame ha spiegato inoltre come, all’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Patti avesse escluso per “quei” fatti il carattere mafioso e in particolare, la loro riconducibilità all’associazione “dei Bontempo Scavo”, ritenendo Faranda, insieme ai suoi familiari, partecipe “di un organismo associativo dedito alle truffe, autonomo dalla famiglia mafiosa dei Bontempo Scavo”.

A tali conclusioni, secondo l’ordinanza impugnata, il Tribunale di Patti sarebbe giunto in quanto non era stato dimostrato in quella sede nessun collegamento tra lo stesso Faranda e il sodalizio mafioso.

Tali carenze probatorie avrebbero peraltro indotto il Tribunale di Patti ad escludere dai reati fine la circostanza aggravante “mafiosa”.

Sulla base di tale quadro di riferimento il Tribunale del Riesame ha tuttavia ritenuto di non attribuire rilievo alla sentenza emessa dal Tribunale di Patti in quanto detto Tribunale: a) non avrebbe affatto escluso “l’influenza criminale del gruppo Bontempo Scavo allo strategico settore delle truffe Agea”; b) non avrebbe neppure “scrutinato, sia pure indirettamente il ruolo del ricorrente” nello strategico settore delle truffe Agea, essendosi limitato “a prendere atto della insufficienza del compendio probatorio…a ratificare l’ipotesi accusatoria che collocava le plurime contestazioni d’accusa… nell’ambito dell’organismo associativo di Bontempo Scavo” (così testualmente il Tribunale in uno stringato passo motivazionale alla fine di pag. 21). Si tratta di una ragionamento sincopato e perciò viziato.

Il Tribunale non ha spiegato: a) sulla base di quali evenienze si fosse originariamente ritenuto che le condotte imputate a Faranda fossero collocabili nell’ambito dell’agire criminale mafioso “dei Bontempo Scavo”; b) quale fosse l’impostazione originaria accusatoria di quel processo; c) se e in che limiti l’impostazione originaria probatoria,  disattesa dal Tribunale di Patti, sia in qualche modo sovrapponibile a quella oggetto del presente procedimento; d) se la rilevante rivalutazione del quadro accusatorio compiuta dal Tribunale di Patti abbia cioè interferenze con il quadro indiziario per cui si precede;

e) quale fosse il “peso” in quel processo delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia; f) se, in particolare, quella rivalutazione della impostazione accusatoria da parte del Tribunale di Patti sia conseguente ad una diversa valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia o di altre prove che, comunque, sono a fondamento del titolo cautelare per cui si procede.

Su questi decisivi temi il Tribunale è silente.

Né il Tribunale del Riesame pare abbia considerato il provvedimento con cui il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia ha annullato il 13 settembre 2023 l’informativa antimafia interdittiva della Prefettura di Messina disposta nei confronti della impresa dell’odierno ricorrente.

Ne consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata sul capo; il Tribunale, alla luce delle questioni indicate, formulerà un nuovo giudizio sulla gravità indiziaria per il reato associativo e anche in relazione ai singoli reati satellite, aggravati ai sensi dell’art. 416 bis codice penale.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Messina (il Riesame ndr).

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2024

Edited by, sabato 2 novembre 2024, ore 15,50. 

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