SALUTE&BENESSERE: COSA SI RISCHIA MANGIANDO PESCE CRUDO?

Uno dei piatti più richiesti nei ristoranti, appositi (cinesi) e non, è il pesce crudo, particolarmente in estate ma non solo. Ma cosa si rischia? Lo spiega la dottoressa ISABELLA SALVIA, nutrizionista con studio in Torrenova ed esperta di medicina in generale, nella settimanale rubrica “Salute&Benessere”. Il servizio…

Una delle problematiche più diffuse e temuta cui si può andare incontro consumando prodotti ittici crudi è l’infezione da anisakiasi.

A tal proposito, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) chiarisce che l’anisakidosi o anisakiasi è un’infezione parassitaria del tratto gastrointestinale causata dall’ingestione di pesce crudo o non sufficientemente cotto contenente le larve di parassiti appartenenti alla famiglia Anisakidae .

L’uomo si infetta mangiando pesci o molluschi crudi o poco cotti contenenti le larve in stadio 3, che nel tratto gastrointestinale causa gravi disturbi e/o reazioni allergiche.

Le larve che infettano l’uomo non si sviluppano diventando parassiti adulti, ma sono destinate a morire, quindi l’uomo non elimina uova alimentando il ciclo del parassita. Inoltre, non è possibile una trasmissione da uomo a uomo, in quanto l’infezione avviene solo attraverso l’ingestione di larve vitali negli ospiti intermedi che sono appunto pesci o molluschi.

Le larve di anisakidi misurano da 1 ai 3 centimetri e sono visibili a occhio nudo nella cavità addominale, nell’intestino, sul fegato, sulle gonadi e nei muscoli dei pesci.

Hanno una colorazione che varia dal bianco al rosato, sono sottili e tendono a essere arrotolate a spirale su se stesse.

Il rischio di contrarre l’infezione, continua l’ISS, è dato dall’abitudine di consumare pesce crudo o poco cotto. L’infezione infatti è molto frequente nei paesi dove il pesce viene mangiato crudo, leggermente sottaceto o sotto sale; in Giappone, ad esempio, è dato prevalentemente dal consumo di sushi e sashimi, mentre nel Bacino del Mediterraneo dal consumo di alici crude o marinate.

Nel Mediterraneo il parassita è estremamente diffuso, e vi sono specie di pesci, quali lo sgombro e il pesce sciabola, che raggiungono il 70-100% di infestazione nel pescato.

Una volta ingerite, le larve di anisakidi spesso muoiono e non provocano disturbi. In alcuni casi, tuttavia, le larve vive possono invadere la mucosa dello stomaco gastrica o dell’intestino causando la anisakidosi gastrointestinale.

La forma acuta dell’infezione, spiega ancora l’ISS, è generalmente quella gastrica, caratterizzata da nausea, vomito e dolori alla epigastrici che possono comparire da 4 a 6 ore dopo aver mangiato pesce infestato.

Nella forma intestinale, segni e disturbi possono manifestarsi anche 7 giorni dopo l’infezione con febbre, aumento dei globuli bianchi, vomito, diarrea, dolori addominali e nausea. Talvolta, le larve possono perforare la mucosa gastrointestinale, causando emorragie.

Le larve possono anche provocare manifestazioni allergiche di vario grado che vanno dall’orticaria alla congiuntivite fino, nei casi più gravi, allo shock anafilattico.

Nelle persone che lavorano nella catena di conservazione del pesce è stata riscontrata una forma di allergia legata alla loro attività che può provocare asma, congiuntivite e dermatite da contatto.

La anisakidosi si contrae consumando pesce crudo o sottoposto a procedimenti non idonei ad uccidere le larve, quali la salagione, l’affumicatura o la marinatura.

Una volta che le larve raggiungono il sistema digerente, si attaccano alla mucosa gastrointestinale e, utilizzando il loro particolare apparato boccale rilasciano enzimi che sciolgono le proteine perforando così le mucose in profondità e danneggiando l’area circostante al punto nel quale sono attaccate.

Talvolta, possono persino oltrepassare le barriere gastro-intestinali e localizzarsi in altre parti dell’addome, come il fegato, la milza e il pancreas.

Nell’uomo, che è un’ospite accidentale, continua l’ISS, questi parassiti non possono svilupparsi fino allo stadio adulto. Infatti, nel corpo umano gli anisakidi rimangono, in genere, per non più di due settimane, finendo inglobate in un piccolo aggregato di cellule infiammatorie chiamato granuloma.

Poiché i disturbi causati dall’infezione da anisakis sono molto vari, questa malattia spesso non viene riconosciuta immediatamente e viene confusa con altre malattie che provocano disturbi simili, come l’ulcera, l’ostruzione intestinale, e il morbo di Crohn.

Per accertare l’infezione il medico curante dovrebbe indagare sull’alimentazione della persona che accusa tali disturbi in modo da poterli collegare ad un’eventuale ingestione di pesce marino crudo o poco cotto.

Tuttavia, l’accertamento definitivo di anisakidosi si ottiene mediante l’esame endoscopico, che potrà essere anche curativo se si ha la possibilità di estrarre tutte le larve presenti nell’ospite.

Per accertare l’allergia da anisakidi è opportuno eseguire degli esami, come il prick test e l’ImmunoCAP, in grado di rivelare la presenza di immunoglobuline di classe E (IgE) specifiche per gli anisakidi in assenza di IgE specifiche verso il pesce consumato. Questi esami sono molto sensibili ma possono produrre risultati positivi anche in caso di esposizione ad allergeni di altri nematodi, molluschi o insetti a causa della somiglianza esistente tra questi e gli allergeni presenti negli anisakidi (falsi positivi). Per questo motivo è conveniente rivolgersi a laboratori specializzati che hanno a disposizione test più specifici.

Il congelamento e la cottura di pesci e molluschi sono i due metodi più efficaci per evitare una infezione da anisakidi.

Per prevenire l’anisakidosi, conclude l’Istituto Superiore di Sanità, si consiglia di:

  • togliere le viscere dal pesce prima possibile in modo da diminuire il rischio del passaggio delle larve dalla cavità viscerale ai muscoli (parti che si mangiano)
  • assicurarsi che il pesce nella sua totalità, anche le parti più grosse, sia congelato a meno 18 gradi (-18°) per almeno 96 ore (solo i congelatori industriali o quelli domestici a tre o più stelle possono raggiungere questa temperatura). Solo dopo questo trattamento si potrà consumare il pesce crudo (sushi, sashimi, carpacci, pesce affumicato a freddo, pesce marinato) o poco cotto
  • cuocere il pesce, tenendo conto che, per avere la certezza di aver ucciso le larve, l’interno del pesce, anche le parti più grosse, deve raggiungere una temperatura superiore ai 60°C per almeno 10 minuti

La normativa dell’Unione Europea stabilisce l’obbligo per chi vende o per i ristoranti che servono pesce crudo o in salamoia (sale, limone, olio e aceto non hanno alcun effetto sull’anisakis) di effettuare la procedura d’abbattimento preventivo del pesce destinato al consumo a crudo.

L’abbattimento si effettua tramite un’apparecchiatura tipo freezer che consente di portare l’alimento a temperature tra i -20 e – 40°C molto velocemente per un tempo variabile dalle poche ore fino a più giorni. Solo con questa procedura si distruggono le larve.

Esiste una normativa europea del 2004 che obbliga l’abbattimento a tutti gli esercizi che vendono o servono pesce crudo.”

Eventuali quesiti o temi d’interesse mi potranno essere segnalati su Facebook alla pagina “Dott.ssa Isabella Salvia – Biologa Nutrizionista” o tramite WhatsApp al 320 6556820.

Isabella Salvia

I contenuti di questo articolo hanno esclusive finalità informative e divulgative, non essendo destinati ad offrire consulenza medica/nutrizionale personale. La dottoressa Isabella Salvia consiglia sempre di rivolgersi ad un professionista qualificato della nutrizione (un biologo nutrizionista, un medico dietologo o un dietista) per ricevere un piano alimentare personalizzato, redatto sulla base di una diagnosi individuale, sia per soggetti sani che per le persone affette da patologie accertate.

Edited by, venerdì 2 agosto 2024, ore 19,36. 

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