Il Gup del Tribunale di Palermo ha condannato a 11 anni e 4 mesi di carcere per associazione mafiosa LAURA BONAFEDE (foto in alto), l’insegnante di Campobello di Mazara figlia dello storico “padrino” del paese in provincia di Trapani, sentimentalmente legata al boss MATTEO MESSINA DENARO, scomparso lo scorso anno. Lei continua a negare di avere mai fatto parte di una associazione mafiosa. Il servizio sul link Sicilia News…
Il Gup del Tribunale di Palermo ha condannato a 11 anni e 4 mesi di carcere per associazione mafiosa Laura Bonafede, l’insegnante di Campobello di Mazara figlia dello storico “padrino” del paese in provincia di Trapani, sentimentalmente legata al boss Matteo Messina Denaro. Alla maestra inizialmente era stato contestato il reato di favoreggiamento poi modificato in quello di associazione mafiosa. Secondo la Procura la donna per anni ha convissuto assieme alla figlia con il capomafia allora ricercato, garantendone le comunicazioni con gli uomini d’onore e coprendo la sua latitanza. Il processo è stato celebrato con il rito abbreviato.
Lei ha negato tutto: “Non ho mai fatto parte di nessuna associazione mafiosa – ha detto al giudice -, non ho mai convissuto con alcuno anche perché ho abitato con mia madre fino al 2021, si figuri se potevo dormire fuori casa, vai a trovare una giustificazione. Le volevo dire soltanto, le volevo chiedere di valutare la mia posizione per quella che è, mi auguro di trovare in lei quel giudice di Berlino che tutti ci auguriamo di incontrare”.
L’imputata nella scorsa udienza ha reso dichiarazioni spontanee tentando di raccontare la sua versione sul rapporto che l’ha legata all’ex ricercato morto nel settembre 2023 a causa di un tumore. La donna ha raccontato di avere conosciuto da bambina Messina Denaro e di aver ricevuto amicizia e attenzioni da lui, antico conoscente del padre, nei momenti difficili della sua vita come dopo l’arresto e la condanna del marito, Salvatore Gentile, all’ergastolo per omicidio.
“Mi aveva chiesto che voleva conoscere mia figlia, quella bambina che aveva conosciuto tanti anni prima, e io ho fatto questo errore, perché lo reputo adesso un errore, sono uscita con mia figlia non dicendole niente chiaramente, dove dovevamo andare – ha ricostruito la donna -. Ho lasciato la macchina in una strada di Campobello e poi sono salita nella sua assieme a Martina, le ho detto che lui era un amico del nonno, che era anche un amico di papà e che adesso si trovava in una situazione particolare perché lo volevano arrestare. Lui mi aveva chiesto di conoscerla, di rivederla, perché l’aveva vista in carcere quando era piccola. Ho raccontato questa bugia a mia figlia”.
La donna si è detta pentita di aver fatto conoscere al capomafia la figlia Martina, attualmente indagata per favoreggiamento dell’ex latitante. Tra Matteo Messina Denaro e la ragazza si era stabilito un profondo rapporto d’affetto. Secondo i pm, che avevano chiesto la condanna della Bonafede a 15 anni, i tre avrebbero a lungo vissuto come una famiglia mentre Messina Denaro era ricercato.
“Io sono nata in una famiglia purtroppo mafiosa e ho vissuto fin da bambina con questo clima e mio padre (il boss Leonardo Bonafede ndr) parlava anche a casa dei suoi impegni, quindi sono cresciuta così, abbiamo frequentato anche persone dello stesso ambiente – ha detto ancora la Bonafede -, ma noi figli, e nemmeno mia madre, abbiamo mai fatto parte di questa vita nonostante la vivessimo e non abbiamo mai fatto parte di nessuna associazione mafiosa, anche perché le donne, bambine e adulte, erano tenute un pochettino lontane da certe situazioni e da certi contesti”.
L’imputata ha anche raccontato di aver conosciuto Messina Denaro da bambina tramite il padre e di averlo avuto vicino nei momenti difficili della sua vita come dopo l’arresto del padre e del marito. Lei e il boss, ha ricostruita Bonafede, si sarebbero incontrati negli anni costantemente ma non avrebbero mai vissuto insieme. “Nel gennaio del 2008, mentre io mi trovavo nella cartoleria “Giorgi” a Campobello – ha affermato – ho incontrato, per meglio dire, Matteo Messina Denaro si è fatto riconoscere: io stavo salendo sulla mia auto e lui era sulla sua, mi ha fatto cenno di seguirlo e io l’ho fatto. L’ho seguito, poi siamo andati in un posto che era una strada un poco più isolata, quindi mi ha fatto cenno di scendere e sono salita sulla mia macchina, a quel punto lì ci siamo…abbiamo parlato, era tanto tempo che non ci vedevamo, mi ha raccontato di sua figlia, insomma che aveva avuto una bambina, tante cose di famiglia, ci siamo dati appuntamento per febbraio. Lì sempre stessa modalità, ci siamo dati un orario – ha aggiunto l’imputata – poi ho lasciato la mia auto e sono salita sulla sua, non in maniera, come dire, all’aperto, perché ho adottato dei sistemi per tutelarmi un pochettino da quelle che erano tutte le mie conoscenze, perché Campobello essendo un paese piccolo mi conoscevano tutti e io mi trovavo in una posizione anche particolare, una donna sposata, una donna sola, e così mi sono nascosta. A quel punto siamo arrivati in una casa, lui ha entrato la macchina, ha chiuso il portone e lì ci siamo incontrati, sono state circa un paio di ore assieme a lui. Sono stata bene, abbiamo parlato, mi sono sentita anche un poco rassicurata, tipo mi sono sentita come appoggiata”.
Il Gup di Palermo ha anche dichiarato l’imputata interdetta dai pubblici uffici. Il giudice ha inoltre applicato alla donna la misura di sicurezza personale della libertà vigilata per tre anni, una volta scontata la pena. Infine la maestra è stata condannata a risarcire le parti civili costituite. Al Comune di Castelvetrano e a quello di Campobello di Mazara sono stati riconosciuti 25.000 euro ciascuno di risarcimento del danno, 10.000 euro dovranno essere pagati dall’imputata al ministero dell’Istruzione e alla presidenza della Regione Siciliana. Bonafede è stata infine condannata a risarcire con 3.000 euro ciascuno il Centro studi Pio La Torre, l’associazione antimafia Caponnetto, l’associazione antiracket di Trapani e l’associazione Codici Sicilia.
g.l.
Edited by, martedì 5 novembre 2024, ore 18,09.