Si è concluso con sei condanne ed una assoluzione il processo, al Tribunale di Messina, che vedeva coinvolti sette imputati e trattava delle infiltrazioni mafiose al Comune di Mojo Alcantara, piccolo centro in provincia di Messina ma al confine con quella di Catania, da parte del clan etneo Cintorino di Calatabiano. L’ex sindaco del centro ionico BRUNO PENNISI (foto in alto), è stato condannato a 6 anni di reclusione per corruzione ma assolto dall’accusa di associazione mafiosa. Completamente assolta l’ex vice sindaco CLELIA PENNISI. Il servizio sul link Sicilia News…
Si è concluso con sei condanne ed una assoluzione il processo che vedeva coinvolti sette imputati e trattava delle infiltrazioni mafiose al Comune di Mojo Alcantara, piccolo centro in provincia di Messina ma al confine con quella di Catania, da parte del clan etneo Cintorino di Calatabiano. La sentenza è stata emessa dalla Prima sezione penale del Tribunale di Messina (presidente Adriana Sciglio). L’ex sindaco di Mojo Alcantara Bruno Pennisi è stato assolto dal reato associativo mafioso “per non aver commesso il fatto” e condannato a 6 anni di reclusione per un caso di corruzione. Clelia Pennisi, ex vice sindaco, è stata assolta da tutte le accuse “per non aver commesso il fatto”.
Le altre condanne: Giuseppe Pennisi, 10 anni e 9 mesi; Carmelo Pennisi, 13 anni; Antonio D’Amico, 6 anni; Santo Rosario Ferraro, 4 anni; Luca Giuseppe Orlando, 10 anni e 4 mesi. All’udienza precedente si erano registrate le richieste di pena dell’accusa, sette condanne, in aula le pm Liliana Todaro e Antonella Fradà, che a suo tempo gestirono anche l’indagine della guardia di finanza.
LA VICENDA
I finanzieri del Comando Provinciale di Messina, il 18 maggio 2022, eseguirono un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 7 soggetti, indagati per i delitti di associazione a delinquere di stampo mafioso e per diversi episodi di reati contro la Pubblica Amministrazione. Il sindaco di Mojo Alcantara Bruno Pennisi, destinatario della misura della custodia cautelare in carcere, unitamente al responsabile dell’Area Servizi Territoriali e Ambiente del Comune di Mojo, in quiescenza, accettavano utilità consistenti in somme di denaro o relative promesse; il sindaco, inoltre, favoriva vendite di materiale edile da parte di una società in cui vantava cointeressenze, per compiere specifici atti contrari ai doveri d’ufficio, così turbando la procedura di gara relativa al recupero del tessuto urbano locale, a favore di un imprenditore di Santa Teresa Riva, posto ai domiciliari. Analogamente l’ex assessore ai Lavori Pubblici del Comune di Malvagna (sino all’ottobre 2020), Luca Giuseppe Orlando, abusando della sua qualità e dei suoi poteri, induceva il rappresentante di una ditta edile di Barcellona Pozzo di Gotto, aggiudicataria di lavori pubblici a Malvagna, a rifornirsi di materiale edile da una ditta di Randazzo, il tutto con lo scopo di agevolare l’associazione mafiosa oggetto d’indagine. Per tale interessamento, peraltro, il titolare della ditta edile catanese – parimenti destinatario di custodia cautelare in carcere – corrispondeva all’amministratore pubblico una dazione corruttiva.
Gli arrestati in carcere al tempo furono: D’Amico Antonio, nato a Bronte il 23 febbraio 1971, imprenditore; Orlando Luca Giuseppe, nato a Taormina il 28 agosto 1975, ex assessore ai Lavori pubblici di Malvagna; Pennisi Bruno, nato a Mojo Alcantara il 29 maggio 1975, sino al giorno dell’operazione sindaco di Mojo Alcantara; Pennisi Carmelo, nato a Messina il 31 gennaio 1981; Pennisi Clelia, nata a Messina il 16 febbraio 1980, sino al giorno dell’operazione vice sindaco di Mojo Alcantara; Pennisi Giuseppe, nato a Mojo Alcantara il 10 marzo 1958. Agli arresti domiciliari finì Ferraro Santo Rosario, nato a Santa Teresa di Riva il 30 marzo 1969, imprenditore.
Le indagini della Guardia di Finanza riguardarono l’infiltrazione mafiosa ed il condizionamento delle amministrazioni comunali dei Comuni di Mojo Alcantara e Malvagna, centri della fascia ionica della provincia peloritana, ad opera di Cosa Nostra siciliana. In particolare, le complesse investigazioni, svolte su delega della Direzione Distrettuale Antimafia di Messina dagli specialisti del Gruppo di Investigazione sulla Criminalità Organizzata delle Fiamme Gialle di Messina, consentirono di fare luce sull’operatività criminale di una cellula decisionale e operativa mafiosa del tutto autonoma rispetto alle articolazioni di Cosa Nostra catanese che, in passato, gestivano gli affari mafiosi anche nel territorio della Valle dell’Alcantara. Tale struttura criminale, secondo l’ipotesi d’accusa, è risultata in grado di ingerirsi, condizionandole, nelle dinamiche elettorali-politiche dei due comuni, oltre che nella relativa gestione dell’attività amministrativa, attraverso l’infiltrazione di soggetti alla stessa struttura criminale direttamente e/o indirettamente riconducibili. In altre parole, non il classico gruppo criminale che fa della violenza la cifra del suo modo di agire, bensì qualcosa di diverso, di molto meno visibile ma non per questo meno pericoloso, comunque forte di una ormai riconosciuta forza criminale: una “cellula criminale autonoma che, avvalendosi della legittimazione mafiosa derivante dalla contiguità al famigerato clan dei Cintorino di Calatabiano, la cui fama criminale, anche per la efferata violenza di numerosi omicidi commessi alla fine degli anni ’90, promana senza alcuna necessità di ulteriori e specifici atti di violenza e minaccia, è riuscita ad imporsi all’interno del tessuto sociale delle due piccole realtà comunali”. Le indagini, secondo le valutazioni del giudice, hanno documentato uno spaccato assolutamente significativo del nuovo modo di “fare mafia”: “un gruppo che, per il suo modus operandi, rappresenta l’evoluzione del modello tradizionale di associazione mafiosa che sfrutta la fama criminale ormai consolidata e che non abbisogna di manifestazioni esteriori di violenza, per intessere relazioni con la politica, le istituzioni, le attività economiche, al fine di imporre il proprio silente condizionamento”.
Uno dei principali indagati, anche da detenuto, disponeva affinché i suoi sodali prendessero contatti con le ditte appaltatrici di lavori assegnati dai due enti locali di Mojo e Malvagna, anche garantendo sostegno ai candidati elettorali in occasione del rinnovo dei rispettivi consigli comunali. Concretamente, le disposizioni da lui dettate venivano tradotte in azione operativa dal padre e, soprattutto, dalla sorella, quest’ultima allora vice sindaco in carica del Comune di Moio Alcantara, Clelia Pennisi. In tal senso il gruppo indagato faceva pervenire al sindaco di Mojo inequivoche sollecitazioni, cui peraltro aderiva, affinché interessasse gli amministratori comunali di altre distinti enti locali a bloccare, o sbloccare, indebitamente, procedure esecutive a vantaggio della famiglia: comportamenti ritenuti sintomatici di una “potente subordinazione del sindaco”. Dello stesso tenore, per altro, la disponibilità offerta alla cellula indagata dal già assessore ai lavori pubblici del Comune di Malvagna il quale, nell’interesse della medesima struttura criminale, si adoperava per l’assegnazione di appalti di lavori a ditte vicine, anche mediante il compimento di reati di corruzione e altri reati contro la pubblica amministrazione. Le indagini dei finanzieri di Messina, oltre a basarsi su attività tipiche di polizia giudiziaria, quali intercettazioni, rilevamenti, pedinamenti, perquisizioni e sequestri, si erano altresì avvalse del contributo fornito da un importante collaboratore di giustizia, Carmelo Porto che, a valle del suo arresto nella nota operazione “Isola Bella”, che ha documentato interessi mafiosi nel settore turistico, chiariva ai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Messina le dinamiche criminali insistenti nella fascia ionica della provincia peloritana. In virtù di tutti questi motivi, il 3 febbraio 2023 il consiglio comunale di Mojo Alcantara venne sciolto per infiltrazioni mafiose.
Giuseppe Lazzaro
Edited by, mercoledì 10 luglio 2024, ore 14,26.