Palermo: Maxi-blitz contro Cosa nostra, 181 arresti – IL VIDEO

Cosa nostra come ‘na mugghieri”: blitz contro i boss nostalgici e idealisti a Palermo. Operazione con 1.200 carabinieri che ha colpito i clan palermitani di diversi quartieri: 181 arresti. Capi in riunione dal carcere: “Siamo contro lo Stato”. Intercettazioni: “Io affiliato per nobili principi, ci credo dal profondo”. Il servizio sul link Sicilia News, in alto il video con il servizio di Riccardo Lo Verso da livesicilia…

Cosa nostra? Ta maritasti sta mugghieri e ta puorti finu a vita”. Paragonavano il vincolo mafioso al matrimonio e avevano nostalgia dei boss d’un tempo. E’ quello che salta fuori dalla maxi-inchiesta della Dda di Palermo e dei carabinieri che ha portato in cella 181 persone. Il blitz, scattato con 1.200 militari alle prime luci dell’alba nel capoluogo siciliano ma anche in altre città italiane, ha stretto il cerchio attorno ai mandamenti mafiosi della provincia palermitana, in particolare quelli di Porta Nuova, Pagliarelli, Tommaso Natale-San Lorenzo, Santa Maria del Gesù e Bagheria. Fuori dalla caserma “Giacinto Carini”, sede del Comando provinciale dei carabinieri di Palermo, ci sono decine di parenti degli arrestati.

IL RIMPIANTO PER I VECCHI BOSS – “Il livello è basso oggi arrestano a uno e si fa pentito; arrestano un altro…livello misero, basso, ma di che cosa stiamo parlando?”, diceva il capomafia di Brancaccio Giancarlo Romano non sapendo di essere intercettato. “Io spero sempre nel futuro, in tutta Palermo, da noi, spero nel futuro di chi sarà il più giovane”. Dopo i falliti tentativi di ricostituire la commissione provinciale e di restituire a Cosa nostra un organismo centrale, ai mafiosi resta dunque il rimpianto degli storici capimafia dei quali ricordano “prestigio” e spessore criminale. “A scuola te ne devi andare – proseguiva il boss Romano -. Conoscerai dottori, avvocati, quelli che hanno comandato l’Italia, l’Europa…Per dire, quando si parla dei massoni, i massoni sono gente con certi ideali ma messi nei posti più importanti. Se tu guardi “Il Padrino”, il legame che aveva…non era il capo assoluto…lui è molto influente per il potere che si è costruito a livello politico nei grossi ambienti. Noi che cosa possiamo fare?”.

Poi la critica alle nuove leve. “Ma tu devi campare con la panetta di fumo, cioè così siamo ridotti? Le persone di una volta, quelli che disgraziatamente sono andati a finire in carcere per tutta la vita, ma che parlavano della panetta di fumo? Cioè se ti dovevano fare un discorso di fumo, te lo facevano perché doveva arrivare una nave piena di fumo. Se tu parli con quelli che fanno business, ti ridono in faccia. Ma questo business è? Siamo troppo bassi, siamo a terra ragazzi. Noi pensiamo che facciamo il business, oggi sono altri. Dico, eravamo prima noi, oggi lo fanno altri…noi siamo gli zingari”.

RICCHI CON LA DROGA – Dall’indagine si scopre che è stato il traffico di stupefacenti, per anni affare secondario dei clan, a segnare la svolta economica per Cosa nostra. L’allargamento dei contatti con la “grande distribuzione” è stato possibile grazie al costante accumulo del denaro fatto con il controllo capillare del mercato cittadino. Nonostante gli uomini d’onore di vecchio stampo prendano le distanze dal traffico di droga, non ne disdegnano i guadagni. “Stai attento ah – dice il boss Gino Mineo intercettato -, perché oggi domani, io vedi per ‘ste cose non mi ci sono mischiato mai, non ci sono entrato mai, non è che mi voglio andare ad infangare poi con un po’ di fanghi. Tu gli dici: “lascia qualche cosa per…per il paese…per i cristiani, gli dici…che hanno di bisogno”.

Le cosche evitano di farsi concorrenza, praticando lo stesso prezzo per le forniture di droga, e hanno dato all’affare una fisionomia imprenditoriale rafforzando i rapporti con la ‘ndrangheta, leader nel settore. “Mi senti, sta arrivando questo coso a fine…la settimana entrante…e ti devi organizzare per dove posarlo cose e poi smistarlo… in quattro, cinque colpi non te lo piazzi tu questo coso? Vi faccio comandare Palermo”, diceva il boss di Tommaso Natale. “Al volo, al volo! Minchia, ti dico appena mi arriva i bagni ci dobbiamo fare!”, rispondeva il suo fedelissimo. ”Trecentomila euro a botta”, spiegava, quantificando poi il guadagno. “Se lo dobbiamo dare a uno dei mandamenti, lo dobbiamo dare a un prezzo perché va a finire che tra loro parlano…minchia che fa quello, fa un prezzo e a quello fa un prezzo, manchiamo poi tanti, poi andiamo a rompere…manchiamo di serietà, dobbiamo fare un prezzo”.

DARK WEB E “PIZZO” – Dall’inchiesta si evince che la mafia compra armi sul dark web e che il racket del “pizzo” continua a stritolare i commercianti di Palermo con “imposizioni a tappeto” e la sottomissione massiccia dei ristoranti delle borgate marinare di Sferracavallo e Mondello all’ordine di rivolgersi ai fornitori di prodotti ittici con il grossista indicato dal boss Nunzio Serio.

IDEALISMO MAFIOSO – Per quanto riguarda invece l’indissolubilità del vincolo associativo, alcuni affiliati esprimono orgoglio per l’appartenenza alle cosche propinata come scelta di natura ideologica e non utilitaristica. “Non ho mai creduto io nella Cosa nostra ai fini di scopo di lucro – dice Gioacchino Badagliacca -, io ho sempre pensato che a me, per nobili principi, per me questo è quello che è Cosa nostra. Ci ho sempre creduto dal profondo del mio cuore, dico, e mi sono fatto dieci anni di carcere”. “Abbiamo degli ideali nostri dentro che non li facciamo morire mai perché ci muremu – spiega un altro -, perché in futuro noialtri preghiamo il Signore che certe cose non finiranno mai perché sappiamo noialtri i nostri ideali, sappiamo perché siamo noi contro lo Stato, perché siamo contro la polizia”.

NUOVE LEVE – Gli inquirenti hanno poi scoperto il reclutamento da parte della famiglia di Corso Calatafimi di un giovane incaricato di chiedere il “pizzo” e a una vera e propria opera di indottrinamento avvenuta nel corso di incontri, tenutisi nell’aprile 2023, con Paolo Suleman, reggente del clan. “Vieni qua che ti insegno, ti comincio a insegnare qualche cosa, tu senti parlare a me! Devi essere scaltro, umile, fai parlare sempre a lui, l’ultima versione è sua”, gli diceva il capomafia. E ancora: “Apriti gli occhi. Sai fare che se semini bene raccogli, ora tu vieni con me e ti faccio vedere come si fa!”. Anche nel mandamento di Santa Maria di Gesù, nel corso di una video chiamata ricevuta su un cellulare criptato in carcere, un detenuto è stato informato di una new entry di livello: “C’è un picciuotto, tu non lo conosci, che è attivo, Guido si chiama, è bravo…a confronto di quello che c’era di qualche anno indietro, credimi…è trecento volte meglio… Guido è in gamba. Ce l’ha nel sangue lui questa vita diciamo… capiscimi quello che ti voglio dire…e ti sto dicendo che è serio e speriamo per un futuro”. Prossimo all’affiliazione sarebbe stato infine Salvatore Scaduto, figlio dell’ergastolano Giovanni, nonché nipote di Michele Greco “il papa”.

IN RIUNIONE DAL CARCERE – Dalle intercettazioni è emerso che capimafia del calibro di Nunzio Serio e Calogero Lo Presti più volte hanno parlato tranquillamente dal carcere con altri affiliati liberi a cui, in improvvisate riunioni, i familiari dei detenuti passavano una sorta di tele-citofono usato solo per ricevere i messaggi dei “padrini”. Grazie a cellulari criptati introdotti in carcere illegalmente diversi boss detenuti hanno potuto creare vere e proprie chat di gruppo con altri mafiosi, alcuni liberi, altri in cella, per parlare indisturbati di affari. Gli investigatori hanno intercettato due indagati che, quando si sono accorti del malfunzionamento dei loro dispositivi, hanno fatto ricorso a un altro apparecchio ugualmente criptato. Nel cercare di ripristinare il sistema e, quindi, di memorizzare i contatti riservati, hanno finito per rivelare i nominativi dei loro interlocutori dando involontariamente agli inquirenti indicazioni fondamentali.

In particolare, secondo i magistrati, appartenevano alla rete protetta di comunicazione, Nunzio Serio, detenuto e reggente del mandamento mafioso di San Lorenzo-Tommaso Natale, e il fidato Francesco Stagno, il calabrese Emanuele Cosentino, referente nel traffico di droga, Tommaso Lo Presti, boss del clan di Porta Nuova (“il Pacchione…ora fa quarant’anni di matrimonio”, dicono di lui i due intercettati), Guglielmo Rubino, reggente di Santa Maria di Gesù (“Guglielmo per noi si leva la vita”, commentavano), Cristian Cinà, della famiglia di Borgo Vecchio (“Cristian Borgo Vecchio”, si sente nel dialogo), e Giuseppe Auteri, a quel tempo latitante.

MASSACRO IN VIDEO-COLLEGAMENTO – In una occasione Calogero Lo Presti avrebbe poi commissionato una spedizione punitiva contro un nemico, Giuseppe Santoro. Il boss, nel corso di una lunga serie di telefonate, oltre a scegliere minuziosamente la squadra delegata al pestaggio e a indicare le precise modalità dell’agguato, ha anche assistito in diretta, grazie al video-collegamento telefonico, al massacro della vittima.

MEGLIO SCAPPARE – Alcuni dei mafiosi arrestati oggi erano pronti a darsi alla latitanza. Il cognato del capomafia Nunzio Serio, ad esempio, dopo avere ritrovato le microspie sulla Smart della moglie e temendo di essere presto raggiunto da un provvedimento giudiziale, si è allontanato da Palermo per scappare al Nord Italia. “Siamo tutti bombardati”, diceva. Anche un altro boss, dopo essere sfuggito all’inseguimento di una pattuglia della guardia di finanza, aveva programmato con la propria famiglia di rifugiarsi all’estero e di mettere al riparo il patrimonio accumulato con i giochi on line. “Me ne devo andare da qua…devo cambiare la residenza…me ne vado – diceva -. A me quello che mi potrebbe colpire sono la mia famiglia, ma se io ce li ho accanto posso essere sperduto in un pizzo di montagna, sono a posto. Io me ne vado! L’Italia per noi è diventata scomoda, io me ne devo andare perché non intendo assolutamente perdere quello che ho creato fino ad oggi. Cominciate a farvi i passaporti”.

g.l.

Edited by, martedì 11 febbraio 2025, ore 10,30. 

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