I cinque operai (foto in alto quattro di loro), morti ieri pomeriggio nella tragedia sul lavoro a Casteldaccia, non sarebbero dovuti scendere nella vasca di irrigazione e non avevano la mascherina con ossigeno e altri dispositivi di sicurezza obbligatori per legge. Lo si evince dalle prime mosse degli inquirenti: la Squadra mobile di Palermo e la Procura di Termini Imerese che ha aperto una inchiesta con l’accusa di omicidio colposo plurimo per il momento a carico di ignoti. Il servizio sul link Sicilia News…
Non sarebbero dovuti scendere all’interno della stazione di sollevamento i cinque operai morti ieri a Casteldaccia durante la manutenzione della rete fognaria. Il contratto di appalto stipulato con Amap, la municipalizzata che aveva dato l’appalto dei lavori alla loro ditta, la Quadrifoglio group, prevedeva che l’aspirazione dei liquami avvenisse dalla superficie attraverso un autospurgo e che il personale non scendesse sotto terra. Questo spiega perché nessuno di loro indossava la mascherina né aveva il gas alert, un apparecchio che misura la concentrazione dell’idrogeno solforato, il gas che poi li ha uccisi. Non è chiaro, dunque, perché i cinque siano scesi all’interno della stazione di sollevamento né cosa sia accaduto dopo. L’ipotesi che si sia rotto un tubo da cui poi è fuoriuscito il gas è smentita dai vigili del fuoco mentre non si esclude che gli operai abbiano potuto aprire una paratia che sarebbe dovuta restare chiusa. L’ambiente infatti, in condizioni normali, è a tenuta stagna. Sulla strage la Procura di Termini Imerese ha aperto un fascicolo, ancora a carico di ignoti, con l’ipotesi di omicidio colposo plurimo.
Intanto sono sempre gravissime le condizioni di Domenico Viola, l’operaio 62enne ricoverato in terapia intensiva al Policlinico di Palermo per il danno multiorgano da tossicità diretta e da insufficienza polmonare con distress respiratorio, come dicono i medici. Viola è stato l’ultimo a entrare tra i cunicoli e il primo a essere preso dai vigili del fuoco e intubato dai sanitari del 118. A scampare alla tragedia, costata la vita a cinque colleghi, sono stati Giovanni D’Aleo, 44 anni, Giuseppe Scavuzzo, 39 anni e Paolo Sciortino, di 35.
I vigili del fuoco ieri sul luogo della tragedia
I tre sono stati sentiti dagli agenti della Squadra mobile di Palermo, così come il direttore dei lavori e il responsabile della sicurezza. Sui corpi dei cinque morti, Epifanio Alsazia, 71enne di Partinico, co-titolare della ditta Quadrifoglio; Giuseppe Miraglia, 47enne di San Cipirello; Roberto Raneri, 51enne di Alcamo; Ignazio Giordano, 59enne di Partinico e Giuseppe La Barbera, 28enne di Palermo, si dovranno eseguire le autopsie per accertare le cause della morte, quasi certamente provocata dall’idrogeno solforato che hanno respirato e che si trovava in una concentrazione dieci volte superiore ai limiti in quei cunicoli.
“Ho lavorato fino alle 10 nella vasca e tutto è filato liscio. Mi ha dato il cambio mio cugino Giuseppe Miraglia (una delle vittime della strage di Casteldaccia ndr). Poi è successo qualcosa d’imprevisto”, racconta D’Aleo. Gli operai avevano iniziato il lavoro alle 8 e dopo due ore si erano dati il cambio. D’Aleo sarebbe andato a rifocillarsi dopo essere stato per ore nella zona della vasca dell’impianto. Resta da capire cosa sia successo dopo. “Ho capito subito che era accaduto qualcosa di grave e ho dato l’allarme”, ha aggiunto in lacrime l’operaio.
Il più giovane, La Barbera, secondo il racconto dei sopravvissuti ha sentito il collega urlare perché tre di loro non davano più segni di vita dopo essere scesi per depurare la vasca della fogna e si è precipitato verso la botola. Quindi è morto per aiutare gli altri quattro. Era l’unico a non essere a libro paga della ditta Quadrifoglio di Partinico. Proprio l’Amap aveva arruolato La Barbera come interinale da una agenzia. “Non avendo perfezionato le assunzioni dirette ci rivolgiamo alle agenzie in caso di necessità”, dice Alessandro Di Martino, amministratore unico di Amap.
Il figlio di Ignazio Giordano è un infermiere e ha saputo della tragedia accaduta al padre mentre si trovava a lavoro all’ospedale “Ingrassia” in corso Calatafimi a Palermo. Sapeva che il padre stava lavorando nel cantiere a Casteldaccia e ha cercato di mettersi in contatto con lui più volte ma il telefono squillava invano. “Ha compreso subito che stava avvenendo qualcosa di terribile – raccontano i colleghi -. Non riusciva a mettersi in contatto con i familiari. Sono stati attimi terribili per tutti. Poi è arrivata la conferma. Una tragedia”.
Oltre a non avere le maschere con filtro i cinque operai sarebbero stati sprovvisti di tutti gli altri dispositivi di sicurezza obbligatori per legge quando si agisce in un ambiente confinato. Per operare in questi spazi è necessario inoltre utilizzare, prima di addentrarsi, il gas alert, un dispositivo che permette di rilevare inquinanti, quello che è stato utilizzato dai vigili del fuoco prima di intervenire nella fogna. Proprio questo strumento ha rilevato la presenza di idrogeno solforato in quantità dieci volte superiore al limite di sicurezza: è un gas prodotto dalla degradazione batterica, incolore ed estremamente tossico poiché irritante e asfissiante.
g.l.
Edited by, martedì 7 maggio 2024, ore 14,14.