Op. “Gotha 7”: Definitive le condanne per 13 associati del clan dei “Barcellonesi”

Inammissibili i ricorsi difensivi e gli imputati dovranno scontare le pene decise nel luglio 2020 dalla Corte d’Appello di Messina. Così ha deciso la II Sezione penale della Cassazione per uno stralcio dell’operazione “GOTHA 7”, scattata nel barcellonese il 24 gennaio 2018 (foto in alto il quadro generale)…

La II Sezione penale della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi difensivi per una serie di imputati, coinvolti nell’operazione “Gotha 7” e che, adesso, dovranno scontare le pene decise in regime di abbreviato nel luglio 2020 dalla Corte d’Appello di Messina.

Diventano definitive le condanne decise per Antonino Antonuccio a 6 anni di reclusione; Santino Benvenga a 9 anni; Sebastiano Chiofalo a 9 anni; Francesco Foti a 6 anni; Mariano Foti a 8 anni; Fabrizio Garofalo a 9 anni; Massimo Giardina a 8 anni e 4 mesi; Giuseppe Antonio Impalà a 9 anni; Agostino Milone a 11 anni; Carmela Milone; Giuseppe Domenico Molino a 5 anni e 4 mesi; Salvatore Santangelo a 4 anni e Tindaro Santo Scordino a 2 anni di reclusione.

LA SENTENZA DELLA CORTE D’APPELLO

Ventisei condanne, alcune con riduzione di pena e in continuazione con altre sentenze e quattro assoluzioni. Era stata questa la sentenza della Corte d’Appello di Messina per l’operazione “Gotha 7”, scaturita dall’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Messina che svelò come la “famiglia” mafiosa barcellonese stesse cercando di ricompattarsi attorno a vecchie e nuove figure imponendo estorsioni a commercianti e imprenditori. La Corte d’Appello, modificando parzialmente la sentenza di primo grado con il rito abbreviato, il 23 luglio 2020 decise per alcuni condanne in continuazione con altre sentenze mentre per altri dispose la conferma. Tre le assoluzioni piene, due quelle parziali. Erano stati quindi condannati:

Mariano Foti a 8 anni; Domenico Giuseppe Molino a 5 anni e 4 mesi, entrambi furono assolti da alcune accuse. Inoltre erano stati condannati in continuazione con altre sentenze: Antonino Bellinvia a 2 anni; Santino Benvenga 9 anni; Tindaro Calabrese 2 anni e 8 mesi; Salvatore Chiofalo 10 anni; Alessandro Crisafulli 2 anni e 8 mesi; Antonino D’Amico 8 anni; Francesco Foti 6 anni; Massimo Giardina 8 anni e 4 mesi; Ottavio Imbesi 2 anni e 4 mesi; Carmelo Francesco Messina 5 anni; Massimiliano Munafò 3 anni; Salvatore Santangelo 4 anni; Carmelo Tindaro Scordino 5 anni; Tindaro Santo Scordino 2 anni; Sergio Spada 5 anni; Antonio Giuseppe Treccarichi 2 anni; Carmelo Salvatore Trifirò 2 anni e 8 mesi.

Confermata la sentenza del Gup in primo grado con l’abbreviato per: Antonino Antonuccio (6 anni); Agostino Milone (11 anni); Fabrizio Garofalo (9 anni); Giuseppe Antonio Impalà (9 anni); Sebastiano Chiofalo (9 anni); Domenico Chiofalo (1 anno e 6 mesi).

La Corte d’Appello aveva invece assolto Antonino De Luca Cardillo e Antonino Polito. Il processo di primo grado si era concluso ad aprile 2019 con 29 condanne per un totale di circa 180 anni di reclusione ed una assoluzione.

L’OPERAZIONE

La “Gotha 7” era scattata il 24 gennaio 2018 in provincia di Messina ed in altre località del territorio nazionale, con la quale i carabinieri del Comando di Provinciale di Messina e del ROS e la Polizia di Stato, eseguirono una ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del tribunale di Messina, sulla base della richiesta della DDA di Messina, a carico di 40 soggetti gravemente indiziati, a vario titolo, dei delitti di associazione di tipo mafioso e di numerosissimi reati, quali estorsione (consumata e tentata), rapina, trasferimento fraudolento di valori, reati in materia di armi e violenza privata, reati aggravati dal cosiddetto metodo mafioso per aver fatto parte dell’associazione mafiosa denominata “Famiglia barcellonese” riconducibile a “Cosa Nostra” ed operante prevalentemente sul versante tirrenico della provincia di Messina. L’operazione, sulla scia di quelle precedenti iniziate il 24 giugno 2011, venne denominata “Gotha 7”. I carabinieri diedero esecuzione al provvedimento a carico di 29 soggetti (22 in stato di libertà e 7 già detenuti per altra causa) mentre, contestualmente, la Polizia di Stato diede esecuzione al medesimo provvedimento nei confronti degli ulteriori 11 soggetti (8 in stato di libertà e 3 già detenuti per altra causa). L’indagine costituiva la fase più recente e numericamente più consistente della manovra di contrasto condotta da Arma dei Carabinieri e Polizia nell’ultimo decennio e che aveva consentito di disarticolare sistematicamente la “famiglia” mafiosa barcellonese. In particolare, la misura cautelare segue le precedenti operazioni “Gotha” compiute negli ultimi anni dai carabinieri del Comando Provinciale di Messina, del ROS e dalla Polizia di Stato e scaturiva dagli esiti delle attività d’indagine condotte dalla Compagnia carabinieri di Barcellona Pozzo di Gotto, dalla Sezione Anticrimine di Messina, dalla Squadra Mobile di Messina e dal Commissariato P.S. di Barcellona P.G., che ebbero originariamente ad oggetto il riscontro delle dichiarazioni del capo mafia Carmelo D’Amico, tratto in arresto il 30 gennaio 2009 a seguito dell’operazione “Pozzo” e di alcuni altri esponenti di spicco della medesima consorteria (tra cui i collaboratori di giustizia Salvatore Campisi, Franco Munafò e Alessio Alesci), anch’essi destinatari di analoghe misure cautelari (operazioni “Gotha 4” e “5”), condotte a termine dall’Arma e dalla Polizia di Stato rispettivamente nel 2013 e nel 2015. L’inchiesta, che colpì vertici e affiliati alla fazione più ortodossa e militarmente organizzata della criminalità mafiosa della provincia peloritana, capace di documentate interlocuzioni con esponenti di Cosa nostra palermitana e catanese, aveva consentito, da un lato, di documentare come il sodalizio era stato sistematicamente in grado di riorganizzare i propri assetti interni a seguito delle operazioni di polizia che, nell’ultimo decennio, ne decimarono le fila e, dall’altro, di fare piena luce su decine di episodi estorsivi, verificatisi nell’area tirrenica barcellonese tra il 1990 e il dicembre 2017, individuandone puntualmente mandanti ed esecutori materiali. Come emerge dall’ordinanza di custodia cautelare il sodalizio criminale, avvalendosi della forza intimidatrice promanante dal vincolo associativo e dalla condizione assoluta di assoggettamento ed omertà che ne derivava sul territorio, programmava e commetteva delitti della più diversa natura, contro la persona, il patrimonio, la pubblica amministrazione, l’ordine pubblico ed altro con l’obiettivo precipuo di acquisire in forma diretta e indiretta la gestione ed il controllo di attività economiche, di appalti pubblici, di profitti e vantaggi ingiusti per l’associazione. Inoltre, per raggiungere questi fini, si avvaleva di un consistente arsenale di armi micidiali, necessarie al clan per affermare il controllo criminale nell’area di riferimento e non esitava a porre in essere condotte violente nei confronti dei pochi che osavano rompere il diffuso muro di omertà relativo alla sistematica attività estorsiva posta in essere nei confronti dei locali imprenditori. Sono circa una trentina gli episodi estorsivi ricostruiti dalle indagini. A tal riguardo si evidenzia che alcuni degli arrestati si dedicavano stabilmente al racket delle estorsioni. Il “modus operandi” prevedeva dapprima il collocamento di una bottiglia con liquido infiammabile nei pressi della saracinesca dell’esercizio commerciale e, successivamente, “l’avvicinamento” da parte di taluni degli arrestati per richiedere il pagamento del “pizzo”, da corrispondere, di norma, in occasione delle festività di Natale, Pasqua e Ferragosto. Come emerse dalle indagini, inoltre, oggetto delle estorsioni, talvolta, non era il solo “pizzo” ma anche quello di subentrare nei lavori pubblici, imponendo agli imprenditori titolari degli appalti, il sub-appalto in favore delle ditte controllate dagli esponenti dell’associazione. In taluni casi alcuni titolari di un esercizio commerciale erano stati vittime di rapina a mano armata col fine di finanziare la predetta consorteria barcellonese. Tra gli episodi più eclatanti si segnalano: oltre una ventina di commercianti – di genere di ogni specie (dal più piccolo esercizio commerciale ai più rilevanti), nonché una decina di imprenditori vittime di costanti episodi estorsivi, commessi con le modalità sopra descritte; degli arrestati, in una circostanza, picchiarono un imprenditore edile che aveva osato “pretendere” il legittimo compenso a fronte di una precedente fornitura di calcestruzzo in favore di uno degli associati; l’imposizione, attraverso una società di comodo operante nel settore della vigilanza privata, della guardiania a tutti i vivaisti del comprensorio barcellonese (in particolar modo a Terme Vigliatore), oppressi dai continui furti. Nell’ambito dell’indagine emerse anche il movente della brutale aggressione avvenuta, nel settembre del 2017, in pieno giorno e nel centro di Barcellona, nei confronti di un professionista barcellonese, Luigi La Rosa, ex presidente dell’Aias (Associazione italiana assistenza spastici) di Milazzo, il quale si era “permesso” di denunciare un’estorsione commessa ai suoi danni da tre membri dell’associazione, successivamente condannati per tale reato alla pena di oltre 8 anni di reclusione. Venne accertato che l’associazione aveva la disponibilità di enormi quantità di armi da sparo, comuni e da guerra. Infatti furono rinvenuti nell’ambito delle indagini – in due distinte perquisizioni nel territorio di Barcellona – due consistenti arsenali di armi appositamente reperite ed occultate dagli appartenenti all’associazione, al fine di garantirsi il pieno controllo del territorio. In particolare vennero rinvenuti quattro pistole semiautomatiche ed un revolver di grosso calibro, due fucili a pompa nonchè un fucile mitragliatore da guerra unitamente a centinaia di munizioni di vario genere e calibro. Nel corso delle indagini furono individuate due società, riconducibili a cinque esponenti dell’associazione che, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale, erano state attribuite fittiziamente a due prestanome – incensurati – quali teste di legno. In particolare era stata trasferita in un caso la disponibilità del compendio aziendale e, nell’altro, era stato affidato in locazione un ramo d’azienda.       

       Giuseppe Lazzaro

Edited by, giovedì 31 marzo 2020, ore 9,36. 

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